Responsabilità, contratti di assicurazione e COVID 19

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La pandemia ha posto molti interrogativi sulle conseguenza inerenti le coperture assicurative, in particolare nei contratti per la RCT, la RCO, gli infortuni e i danni indiretti subiti dalle aziende.

Polizze RCT – RCO

Prima di osservare le coperture assicurative occorre fare una premessa.

Responsabilità civile nei confronti dei terzi

Elementi necessari per il riconoscimento della responsabilità civile.
Si devono considerare:

  1. il danno subito dal danneggiato;
  2. la colpa o il dolo del danneggiante;
  3. il nesso di causalità tra il danno subito e quanto accaduto.
    Questi oneri della prova sono a carico della persona danneggiata che vuole fare valere i propri diritti.

1) Danno subito dal danneggiato:
Per ciò che riguarda il danno subito, purtroppo, nella stragrande maggioranza dei casi, si parla di decesso della persona. Questo non significa che non possono essere rilevate altre tipologie di danni subiti dalle persone guarite. In ogni caso, non ritengo difficile per il danneggiato fornire questa prova. Certamente non per gli eredi delle persone decedute, mentre, per gli altri, sarà un discorso di medicina legale e CTU.

2) Colpa o dolo del danneggiante.
Tralasciamo logicamente le norme di diritto internazionale di chi prevede di tirare in ballo la Cina.
Occorre, nel nostro caso, fare un distinguo tra cittadini ed aziende private da medici e strutture sanitarie.

Cittadini ed aziende private
L’onere di provare il dolo o la colpa del danneggiante rimane a carico del danneggiato ex art. 2043 del c.c. (può essere il caso, ad esempio di una persona che ritiene di essere stata contagiata da un’altra persona).

Medici e strutture sanitarie.
Oramai, da tempo, i Giudici hanno stabilito che la responsabilità di dette figure ha natura contrattuale: quindi, sarà un loro onere dimostrare che quanto accaduto non poteva essere evitato.

Sorge spontanea una domanda:
può rientrare una pandemia nel concetto di “forza maggiore”, che costituisce sempre un esimente di responsabilità (come, ad esempio un terremoto)?
Il coronavirus è o meno un castigo di Dio (non religiosamente parlando, ma giuridicamente)?

Personalmente non ho trovato una norma di legge in merito.

Per cui, come spesso succede, dovranno essere i Giudici a pronunciarsi.
Ed anche in questo caso esistono delle differenze.

Per gli operatori sanitari (come medici ed infermieri), può essere richiamato l’art.2236 del c.c., che prevede, in caso di interventi di particolari difficoltà cui si trova di fronte il professionista, la responsabilità unicamente per fatti commessi con dolo e colpa grave.
Ora, mentre per il dolo occorrono elementi oggettivi di prova (lasciamo perdere la colpa cosciente ed il dolo incidente), la colpa ed il suo grado (lieve, lievissima, grave, gravissima) viene giudicata in maniera soggettiva, volta per volta, dall’organo giudicante.
Inoltre, così come interpretato dalla Suprema Corte di Cassazione, l’esimente dell’art. 2236 del c.c. per la colpa “normale” è prevista unicamente in caso di imperizia e non anche per imprudenza e negligenza dell’operatore che quindi, in questi casi, viene giudicato, appunto, in base alla colpa “normale”.
Certamente la Corte dovrà fare una considerazione attenta, minuziosa, scrupolosa di tutte le concrete circostanze in cui si sono trovati ad operare, senza regole e nella straordinarietà della situazione, i vari soggetti chiamati a fronteggiare un rischio così pericoloso e sconosciuto.
Logicamente, può essere applicato dai giudici anche il principio della valutazione equitativa del danno:
“In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, ove si individui in un pregresso stato morboso del paziente/danneggiato (o, come nella specie, in una sua peculiare condizione genetica, qual è la “sindrome di Down”) un antecedente privo di interdipendenza funzionale con l’accertata condotta colposa del sanitario, ma dotato di efficacia concausale nella determinazione dell’unica e complessiva situazione patologica riscontrata, allo stesso non può attribuirsi rilievo sul piano della ricostruzione del nesso di causalità tra detta condotta e l’evento dannoso, appartenendo ad una serie causale del tutto autonoma rispetto a quella in cui si inserisce il contegno del sanitario, bensì unicamente sul piano della determinazione equitativa del danno, potendosi così pervenire – sulla base di una valutazione da effettuarsi, in difetto di qualsiasi automatismo riduttivo, con ragionevole e prudente apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto – solamente ad una delimitazione del “quantum” del risarcimento”. (Cassazione civile, sez. III, 29/02/2016, n. 3893).

E le strutture sanitarie ed i suoi amministratori?

Per queste figure non esistono articoli del codice civile di limitazioni di responsabilità.
Certo, possono essere fatti presenti i ritardi dovuti dalle istituzioni quali OMS, ISS, Governo, Regioni, Protezione civile, tecnici e relative commissioni. Inoltre, non vi è dubbio che anche loro si siano trovati ad operare nella straordinarietà della situazione. La differenza però è che devono essere loro a controllare il rispetto delle regole per la gestione della pandemia.
Vero il fatto che la istituzionale discrezionalità delle loro scelte non può per principio convertirsi in fonte di responsabilità (sia civile che penale) solo perché sarebbe stato possibile scegliere meglio la tutela più efficace della vita e della salute delle persone; sarà, anche in questo caso, compito dei Giudici approfondire e giudicare.
Quando però si sente parlare di amministratori che dicevano (ed alle volte imponevano) di non utilizzare sistemi di protezione individuale come guanti e mascherine, la loro dichiarazione di non responsabilità (anche penale) sarà dura da sostenere. Anzi, in questi casi, speriamo che i Giudici ci vadano giù pesantemente.
Nel caso inoltre di chiamata in causa sia dell’Ente che del medico dipendente, nonché di condanna dell’Ente a risarcire il terzo, quest’ultimo potrà rivalersi nei confronti del dipendente, ma la giurisdizione appartiene al Giudice contabile della Corte dei Conti (Cassazione Civile, Sezioni Unite, 04.12.2001 n. 15288; Cassazione Civile, Sezioni Unite, 15.07.1988, n. 4634).
Per la possibile valutazione equitativa del danno vale quanto detto per gli operatori sanitari.

3) Nesso di causalità tra il danno subito e quanto accaduto.

Costituirà, a mio giudizio, la maggiore fonte di “constatazioni” cui dovranno far fronte i giudici.
Occorrerà infatti stabilire se il danno è stato causato dal coronavirus o se le persone colpite sono decedute con il coronavirus.
Alcuni precedenti:

  1. in caso di mobbing occorre provare che la depressione che ne è derivata è stata dovuta unicamente al fatto di essere mobbizzati da colleghi o superiori sul posto di lavoro, e, non, per esempio al fatto di essersi separati dal coniuge o per la morte di una persona cara (Cassazione civile, sez. lav., 05/04/2019, n. 9664; Cassazione civile, sez. lav., 27/02/2019, n. 5749; Cassazione civile, sez. lav., 03/07/2015, n. 13693; …).
  2. Possiamo prendere come esempio anche una recentissima ordinanza della Cassazione (14 gennaio – 29 aprile 2020, n. 8309). Il caso riguardava un bambino sottoposto ad alcune vaccinazioni obbligatorie, cioè l’antipolio Sabin e il Difterite-tetano-pertosse, per poi manifestare, tempo dopo, i segni di una malattia che verrà successivamente identificata come una encefalopatia epilettogena. “Il dibattito in corso sui presunti problemi causati dalle vaccinazioni non è sufficiente per mettere in discussione la decisione del giudice che, in questo caso, ha ritenuto di escludere il nesso tra il vaccino somministrato a un bambino e la patologia che successivamente lo ha colpito” poiché, osservano i giudici, ci si trova di fronte a «complesse malattie la cui origine è ancora ignota e la ricerca di fattori ulteriori e diversi rispetto al patrimonio genetico è oggetto di studi della ricerca scientifica». Così si sono espressi i Giudici del Palazzaccio.

Responsabilità civile nei confronti dei dipendenti

In questo caso occorre distinguere tra:

  1. la possibile rivalsa degli assicuratori sociali,
  2. le maggiore pretese della persona infortunata,

nei confronti del datore di lavoro
La definizione di “Infortunio”

Il Decreto legge n. 18 del 17 Marzo 2020, cosiddetto “Decreto Cura Italia“, ha previsto al 2° comma dell’ articolo 42:

2. Nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato. .. “

L’ INAIL ha confermato, con Circolare n. 13 del 3 Aprile, il riconoscimento di infortunio sul lavoro al contagio provocato, in occasione di lavoro, dal Covid-19. Da ciò il fatto che una malattia, sia diventata, per l’assicuratore sociale, un infortunio.

 1) La possibile rivalsa degli assicuratori sociali.

Senza volere entrare più di tanto nel merito di come si svolge la procedura di rivalsa ai sensi degli artt. 10 e 11 del DPR n. 1124 del 30 giungo 1965, possiamo comunque stabilire che, per ciò che qui ci interessa, si aprirà d’ufficio una procedura per tutti i casi che hanno portato al decesso della persona infortunata, nonché per coloro che hanno subito lesioni gravi o gravissime, cioè superiori ai 40 giorni (per atti dolosi il termine scende a 20 giorni).

Se il datore di lavoro o una persona di cui debba rispondere ai sensi dell’art. 2049 del c.c. vengono penalmente condannati, si apre la sbarra per la rivalsa dell’INAIL e dell’INPS.

Rimane da osservare che, se la sentenza di non doversi procedere è dovuta per morte dell’imputato, per intervenuta prescrizione o per amnistia, il giudice civile, in seguito a domanda degli interessati, decide se sussista o meno una responsabilità civile.

Così come il datore di lavoro, se la sentenza penale interessi un suo incaricato, può sempre rivolgersi al giudice civile che deciderà in merito al possibile riconoscimento della responsabilità civile.

Ed ora la famosa domanda: nel caso di contagio al coronavirus, cosa succede?

La risposta non è semplice.

Innanzi tutto occorre considerare che è la prima volta che una malattia acuta, non derivante da una lavorazione inerente l’attività dell’imprenditore, viene considerata alla stregua di un infortunio.

Inoltre, il tipo di malattia (infortunio) provocata dal COVID 19 ha provocato effetti assolutamente ignoti fino a poco tempo fa, non dovuti, tra l’altro, a violazione delle norme antinfortunistiche o di quelle sulle malattie professionali esistenti. Questo è vero fino alla Fase 2 come si dirà più avanti.

Sotto questo profilo risulta comunque chiaro che l’emergenza epidemiologica e le sue verosimili sequele hanno ampliato in modo tutt’altro che trascurabile il sistema dei doveri di sicurezza incombenti sui datori di lavoro a tutela dei propri dipendenti

Una pronuncia della Suprema Corte, (Cass. civ., n. 30679/2019), ha collocato l’assetto della colpa “all’interno di un quadro di fondo secondo cui chi organizza e pone in essere un’attività rischiosa, è tenuto a predisporre quanto necessario per evitare pregiudizi a terzi”.

2) Le maggiori pretese della persona infortunata.

In questa pretesa rientrano tutte quelle tipologie di danni che non vengono liquidati dall’INAIL.

Non dimentichiamo che i lavoratori vengono indennizzati e non risarciti dall’assicuratore sociale.
In questi casi i Giudici hanno sempre stabilito che gli indennizzi “riguardano solo il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica, mentre esse non si applicano al danno alla salute o biologico (differenziale) e al danno morale di cui all’art. 2059 c.c., entrambi di natura non patrimoniale, sicché il lavoratore ha diritto al loro risarcimento integrale ove sussistano i presupposti della relativa responsabilità del datore di lavoro (Cassazione civile, sez. lavoro, 29 gennaio 2002, n. 1114 e altre).

L’Art. 1, comma 1126, legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Legge di bilancio) aveva stravolto questi principi, ma il D.Legge 30 aprile 2019 n. 34 (convertito, dalla Legge 28-06-2019, n. 58) ha modificato l’art. 10 del DPR n. 1124 del 1965 stabilendo: “VI. Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo non ascende a somma maggiore dell’indennità che, per effetto del presente decreto, è liquidata all’infortunato o ai suoi aventi diritto”, riportando, di fatto la situazione a quella precedente.

Il lavoratore può contare inoltre sull’applicazione dell’art 2087 del c.c. che, pur essendo una norma civilistica, è stata riconosciuta dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 74-1981, come una violazione che costituisce illecito penale e civile, facendo venir meno l’esonero da responsabilità civile del datore di lavoro.

Senza dilungarci sull’applicazione di questa norma nell’ambito degli infortuni sul lavoro, possiamo affermare che raramente il datore di lavoro può sfuggire ad una responsabilità contrattuale con onere della prova a suo carico di avere fatto tutto quello che doveva e poteva fare per andare esente da responsabilità. (ed alle volte non basta: vedasi Cassazione civile , sez. III, 25 febbraio 2008, n. 4718: Qualora non sia tecnicamente possibile conseguire la sicurezza assoluta, il rischio e i costi degli eventuali incidenti non possono farsi gravare sul lavoratore infortunato e la responsabilità conseguente … è (anche) una responsabilità oggettiva, dovendo gravare sull’impresa, e non sui lavoratori o sui terzi, il rischio inerente all’eventuale pericolosità di macchinari di cui essa si avvalga, per l’esercizio della sua attività e nel suo interesse).

Fase 1 e Fase 2

Inoltre, sia per le rivalse degli assicuratori sociali che per le maggiori pretese dell’infortunato, occorrerà considerare se “l’infortunio” è avvenuto:

  1. Durante la FASE 1 o
  2. Durante la FASE 2
    della pandemia.

Giusto precisare che, per questo contesto, le norme emanate verranno considerate dai giudici non tanto in funzione delle date di emissione (o perlomeno, non tutte), quanto dal momento in cui il datore di lavoro si è reso conto della pericolosità della malattia (infortunio) da cui doveva proteggere i lavoratori.

Una recente sentenza della Cassazione pone a carico dello stesso “… non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale fissato dal legislatore … ma anche le altre misure richieste in concreto dalla specificità del rischio” (Cass. civ., 6 novembre 2019, n. 28516).

Fase 1

Possiamo definirla come il periodo in cui il datore di lavoro non era a conoscenza della pericolosità del virus, oppure ancora non si conosceva il suo modo di agire.

Come già detto, tutto ciò indipendentemente dalle date in cui possono essere stati emessi regolamenti da parte delle varie Autorità.

In questo periodo, i Giudici dovranno logicamente tenere conto di ciò, sia per quello che riguarda l’eventuale rivalsa degli assicuratori sociali che per le maggiori pretese dell’infortunato.

Fase 2

Appartengono a questa fase tutti gli infortuni verificatisi dopo la conoscenza da parte del datore di lavoro della pericolosità e delle conseguenze del COVID 19.

Naturalmente fanno parte di ciò anche le normative emesse dalle varie Autorità e assicuratori sociali, come ad esempio il documento tecnico emesso dall’INAIL che contiene indicazioni sulle misure di contenimento del contagio da nuovo Coronavirus nei luoghi di lavoro nella fase di riapertura delle attività produttive, prevista dal 4 maggio 2020 e diviso in due parti

  • la prima parte riguarda la predisposizione di una metodologia innovativa di valutazione integrata del rischio che tiene in considerazione il rischio di venire a contatto con fonti di contagio in occasione di lavoro, di prossimità connessa ai processi lavorativi, nonché l’impatto connesso al rischio di aggregazione sociale anche verso “terzi”.
  • la seconda parte si è focalizzata sull’adozione di misure organizzative, di prevenzione e protezione, nonché di lotta all’insorgenza di focolai epidemici, anche in considerazione di quanto già contenuto nel “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” stipulato tra Governo e Parti sociali il 14 marzo 2020.

È chiaro che, anche per questi casi, sarà il parere dei Giudici a decidere se la malattia (infortunio) rientra nella 1^ o nella 2^ fase e quindi esentare o meno il datore di lavoro da una possibile responsabilità penale e civile.

I contratti assicurativi per la RCT e la RCO

Non si vedono difficoltà (oggi) per la validità della copertura. Non conosco polizze che escludono le pandemie e, escluso il caso di dolo da parte dell’assicurato/contraente (ma non quello dei dipendenti) la garanzia copre qualunque grado di colpa.

Quello che occorre osservare con molta attenzione sono le persone considerate o meno terzi e quali rientrano nell’ambito della RCO e vedere se il cerchio si chiude.

Certo che una Clausola buona fede INAIL (quella vera, però) potrebbe essere di aiuto.

Un problema nascerà sicuramente in fase di rinnovo per i contratti assicurativi, visto che, anche prima della pandemia, l’assicurazione della sanità non era tra i rischi graditi alle Società assicurative e che queste ultime, per stare tranquille, può darsi che escluderanno queste tipologie di rischio anche per i privati.

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